«È stato mio padre»: le cicatrici dei figli del femminicidio e il supporto psicoterapeutico
“Orrifica”: la parola è formata da otto lettere, quattro vocali, quattro consonanti, una doppia di consonanti e contiene, forse, un significato tanto forte quanto annichilente.
Orrificazione personale è il termine utilizzato da psichiatri, da criminologi e da chi si confronta con la cruda realtà del femminicidio: si tratta della condizione in cui il figlio è indotto a personalizzare profondamente l’esperienza come se fosse stata fatta a lui direttamente, in cui può sentirsi colpevole per non essere stato capace di difendere il familiare aggredito (A. Ferraris Oliviero, 2019). Tale groviglio di vissuti fa emergere una profonda vergogna per non essere stato capace di soccorrere la madre, nel momento in cui ne aveva più bisogno. Colpa, vergogna, impotenza possono dominare l’universo emotivo del bambino, dell’adolescente, dei figli della triste realtà del femminicidio.
Proviamo a riavvolgere il nastro, che non si inceppa più, ormai distrutto.
All’improvviso si consuma il delitto, all’improvviso il legame primario, fonte di affetto, di protezione e di fiducia, viene reciso, strappato, bruciato, strozzato, accoltellato, sparato: condannato a morte. È la storia di molti bambini, adolescenti, giovani, figli di donne uccise dai loro mariti, compagni, il più delle volte dai padri delle “vittime collaterali”. Sono circa 1.600 in Italia dal 2004 gli “Orfani speciali”, termine usato dalla Dr.ssa Baldry (2017) che a primo impatto forse, fa storcere un po’ il naso e porta a chiedersi se sono “speciali” per la più infida delle ingiustizie che un figlio può subire. No, sono speciali per i loro bisogni, per la condizione psicosociale ed economica in cui si trovano dopo la tragedia e per la necessità di creare reti di supporto psicologico.
Verranno trattati, brevemente, alcuni nodi portanti per “tessere la rete che cura”.
L’età del bambino, le condizioni sociali, il clima altamente conflittuale precedente alla tragedia, l’essere stato testimone dell’omicidio, avere sorelle o fratelli, sono dinamiche che entreranno in scena nel tortuoso e delicato percorso psicoterapeutico con i figli del femminicidio (Ferrera et al., 2018). Un figlio, anche se era molto piccolo quando è avvenuto l’omicidio, dovrà fare i conti con quell’evento: non censurarlo, occultarlo o gettarlo nel dimenticatoio del “non è successo nulla”. Sarà importante che le figure di accudimento vicine al bambino (nonni, zii, tutori) supportate dai professionisti, raccontino ciò che è accaduto perché, per quanto brutale e devastante, gli consentirà di dare uno spazio nella propria storia.
Un altro aspetto di rilievo è la relazione con il padre, l’assassino, verso cui il figlio, la figlia, possono avere sentimenti ambivalenti. ‹‹Quindi mio padre è cattivo? Forse è pazzo? Malato? Posso diventare come lui? Perché tutto questo?››. Le vicende familiari e i fattori antecedenti alla tragedia variano da caso a caso, il percorso non è uguale per tutti: è necessario che la valutazione che il figlio dà del padre, ora assassino, abbia un senso per lui e sia aiutato in tale costruzione di significati possibili e, il più delle volte, inaccettabili.
Ci sono altri interrogativi che risuonano costantemente nei colloqui con queste vittime: ‹‹Perché lo ha fatto? Si poteva evitare? Può essere curato? Quando uscirà di prigione? Come faccio a considerarlo ancora mio padre?››. Impelagarsi nel tentativo di dare risposte ai dilemmi struggenti che emergono nelle vittime è poco utile. Occorre creare uno spazio di relazione terapeutica per consentire loro di depositare, di custodire, di fuggire e di ritornare sul marasma emotivo, per poi cercare di continuare il percorso di crescita, di vita. Inoltre, bisogna aiutarli a riacquistare una identità separata e diversa da quella dell’assassino. Lysell e collaboratori (2016), psichiatri e psicologi svedesi che si occupano, da tempo, di figli del femminicidio, mettono in evidenza che è portante aiutarli a riprendere le redini del quotidiano, a dare loro quel senso di controllo che è stato strappato, come il legame profondo con la madre.
Un aspetto clinico importante riguarda i disturbi post traumatici da stress che richiedono un intervento psicoterapeutico ad ampio raggio. I Flashback per esempio, in cui i figli possono rivivere l’esperienza come se si stesse ripresentando con le stesse caratteristiche, manterranno costantemente accese le immagini tragiche e incancellabili nella mente del bambino (Wilson et al., 2018).
È fondamentale per la bambina, per il bambino, per l’adolescente che hanno perso la madre in una situazione tragica, poter trovare nuove figure di riferimento protettive e accoglienti, che sappiano trasmettere fiducia e sicurezza. Anche la comunità può fornire sostegno, che sia contenuto poiché il rischio di depauperare l’identità di Myriam, Francesco, Laura, Flavio è alto. Il confine della trasformazione della tragedia in uno stigma sociale, “il figlio di…” è sottile e indelebile.
È forse meglio agire in ottica preventiva sulla relazione di coppia, sulla genitorialità, sul riconoscere le forme di violenza e di divenire consapevole della violenza di genere? Si!
“Per far sì che non ci siano più orfani speciali bisogna intervenire quando ci sono i segnali premonitori, e anche le donne possono aiutarsi a valutare il rischio“, è questo il monito della Dr.ssa Baldry che invita i professionisti della salute mentale, enti, associazioni politiche e non, a seguire le vie percorribili della prevenzione della violenza di genere.
‹‹L’origine dei bambini ha luogo quando possono essere pensati›› (Winnicott,1987): noi non possiamo smettere di pensarli in ottica di cura, anche quando la loro “origine” è stata recisa per sempre.
BIBLIOGRAFIA
Oliviero Ferraris, A.(2019). Femminicidio: come aiutare i figli, Mind, 16-17.
Ferrera, P., Ianniello, F., Semerario, L., Franceschini G., Lo Scalo, L., Giordano, I., Corsello, G. 2018.
Kapardis, A., Baldry, A., Kostantinous, M. 2017. A quality study of intimate partner femicide and orphans in Cyprus.
Lysell, H.; Dahlin, M.,Långström, N., Lichtenstein, P.; Runeson, B. 2016. Killing the Mother of One’s Child: Psychiatric Risk Factors Among Male Perpetrators and Offspring Health Consequences. The Journal of Clinical Psychiatry, 77-3.
Wilson, H. 2018. Violence with feminicide risk: its effects on women and their children. Journal of interpersonal violence, 5-28.
Winnicott, D.D. I bambini e le loro madri. Raffaello Cortina Ed., 1987.
Image credit: Donna vettore creata da freepik – it.freepik.com
Add Comment