Perché è difficile imparare una seconda lingua?
Quante volte ci siamo sentiti chiamare “ignoranti”, non conoscendo la lingua inglese? Quante volte siamo stati “sbeffeggiati” dal popolo britannico, di questo nostro limite, se può essere definito tale? Sbeffeggiati perfino da un cartone animato di origine britannica, Peppa Pig (segnalazione fatta da Striscia la Notizia il 14 gennaio 2014, VIDEO ORIGINALE), trasmesso su tutte le reti televisive nazionali e che ha un fascino particolare sui nostri, vostri bambini.
Le seguenti osservazioni non avranno la finalità di giustificare la nostra ignoranza in una seconda lingua, nel particolare la lingua inglese, ma cercheranno di evidenziare quanto sia difficile apprendere una seconda lingua.
Innanzitutto evidenziamo che la maggior parte delle abilità linguistiche di base compaiono nell’età compresa tra 1 anno e mezzo e 5 anni. Il legame tra età e apprendimento linguistico suggerisce che i processi maturazionali sono operativi, ovvero i bambini quando crescono in condizioni normali, acquisiscono il linguaggio secondo un programma insito nel loro sistema nervoso.
Cosa succede quando questo processo è ostacolato e il bambino non riesce ad apprendere la lingua parlata entro l’età consueta? Esistono periodi critici per apprendere il linguaggio? Con periodo critico si intende un momento, nel corso dello sviluppo, nel quale l’individuo deve essere esposto a certe esperienze al fine di acquisire un’abilità particolare.
Il primo ad evidenziare l’esistenza di un periodo critico nell’apprendimento del linguaggio è stato Eric Lenneberg (1967), che inserisce questa ipotesi nella sua tesi biologica del linguaggio. In questo periodo, che si dovrebbe estendere tra l’età di 1 anno e 6 mesi e la pubertà, si pensa che il cervello sia particolarmente predisposto ad acquisire le abilità linguistiche. L’acquisizione del linguaggio sembra quindi più semplice nella prima fase dell’infanzia e può risultare difficile nell’adolescenza e nell’età adulta.
Quattro prove possono giustificare questa ipotesi:
- L’apprendimento della seconda lingua. Quando Johnson e Newport (1989) hanno esaminato la conoscenza della lingua inglese di alcuni cinesi e coreani negli Stati Uniti, hanno scoperto che la loro competenza in campo grammaticale era collegata all’età in cui avevano iniziato a studiare l’inglese. Coloro che erano arrivati negli Stati Uniti prima dei 7 anni, mostravano un livello di competenza pari a quello dei nativi; coloro che invece erano giunti dopo i 15 anni mostravano una scarsa competenza. Il legame tra l’età e l’apprendimento linguistico è confermato, anche se non vi sono prove che esista un termine preciso per l’acquisizione di tale abilità.
- L’esposizione ritardata al linguaggio nei bambini audiolesi. Gli studi condotti su questi bambini (ad esempio, Newport, 1990) dimostrano che più viene ritardata la prima esposizione al linguaggio, più risulta difficile che l’individuo raggiunga un buon livello di competenza. Questi bambini infatti non hanno la possibilità di acquisire il linguaggio formale, orale o gestuale, prima di una fase piuttosto tarda dell’infanzia.
- Effetti dei danni cerebrali a diversa età. Le conseguenze di danni occorsi nelle aree del linguaggio nell’emisfero sinistro del cervello dipendono inevitabilmente dall’età dell’individuo nel momento in cui ha subito il danno. Più l’individuo è piccolo, maggiori sono le probabilità che subentrino altre aree, grazie alla plasticità del nostro cervello, che consentono all’individuo di recuperare le funzioni perdute.
- Bambini cresciuti in isolamento. Uno dei casi più interessanti ma allo stesso tempo più raccapriccianti è quello di Genie. Questa bambina fin dall’età di 18 mesi era stata rinchiusa dal padre, uomo con disturbi mentali, in una piccola stanza legata a un vasino dove trascorreva tutto il suo tempo senza quasi potersi muovere. In tutto il periodo della sua reclusione, Genie non riceveva stimoli uditivi, né dalla radio o dalla televisione, né dal padre o dalla madre, quest’ultima spesso picchiata dal marito. Di notte veniva messa in una culla e anche qui veniva legata. Infine la madre prese coraggio e decise di fuggire da quella casa prendendo la figlia con sé. Genie, al momento della fuga, aveva 13 anni e mezzo ed era incapace di reggersi in piede e malnutrita. Emotivamente era disturbata, socialmente del tutto inetta e quasi incapace di emettere suoni. Susan Curtiss, una laureata specializzanda in psicolinguistica, cercò di trasmettere a Genie la competenza linguistica. Dopo anni di addestramento intensivo aveva fatto qualche progresso della lingua, ma non riuscì mai ad acquisire una normale competenza linguistica.
Dopo l’esposizione di queste osservazioni, dare una risposta univoca alla domanda se esiste o meno un periodo critico per l’apprendimento del linguaggio non è possibile, poiché nelle osservazioni precedenti è probabile che altre condizioni come l’isolamento sociale o violenza, oltre alla deprivazione linguistica, possano aver influenzato il risultato finale.
Infatti oggi più che usare l’espressione periodo critico, viene usata l’espressione periodo sensibile e si intende un momento nel corso dello sviluppo durante il quale la persona ha maggiori probabilità di acquisire certe abilità particolari. Questa è l’unica conclusione incontestabile delle prove menzionate sopra. Inoltre si deduce che l’infanzia è il periodo ottimale per l’apprendimento linguistico. È possibile anche affermare che esiste una certa flessibilità per quanto riguarda l’età precisa in cui il bambino deve apprendere il linguaggio.
Sì! Forse Peppa pig fa bene a deriderci. Però vogliamo farti una domanda Peppa Pig: “Perché non provi ad apprendere la lingua italiana?”
Attilio Fappiano
Riferimenti bibliografici:
H. Rudolph Shaffer., (2005). Psicologia dello sviluppo, Raffaello Cortina, Milano.
Johnson, J.S., Newport, E.L. (1989), “Critical period effects in second language learning: the of instructional state on the acquisition of English as a second language”. In Cognitive Psychology, 21, pp. 60-99.
Newport, E.L. (1990), “Maturational constraints on language learning”. In Cognitive Science, 14, pp.11-28.
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